Ferrara, 5 luglio 2008. Aldo Dolcetti era la vera novità della presentazione di ieri mattina. Ma per il tecnico c’è stato poco tempo per parlare in un contesto così affollato. Riprendiamo quindi, d’accordo con l’autore, alcuni passaggi dell’intervista rilasciata in esclusiva per il forum degli Spallinati a Enrico Testa. Ecco alcune delle frasi tra le più interessanti.
Il nome Spal. «Bastava quello per venire. Evoca tradizione, storia. Questo ho pensato. Da giocatore l’ho incontrata poche volte, la Spal, ma mi ha sempre dato l’impressione di un calcio fatto e vissuto con entusiasmo. Una squadra protagonista di cose importanti e mi è subito venuto, appunto, lo stesso entusiasmo. Parola, questa, per me fondamentale, soprattutto nel calcio». Lidio Melis. «Lui è di Cagliari, è stato con me alla Honved, poi ha lavorato in C2 alla Torres, e anche lui è entusiasta». La moglie. «E’ più felice di chiunque. Dall’Ungheria a Ferrara, considerando che abitiamo a Pisa… ».
Io allenatore. «Mi piacerebbe essere considerato uno autorevole ma non uno che cerca la battaglia. Mi piace capirli, i giocatori. Oggi si dice spesso che il calcio è una pacchia per i calciatori, che è più facile. Potrebbe anche essere ma io ho una mia idea. Per me i ragazzi hanno bisogno di uno tosto, certo, ma anche di uno con cui parlare. Ecco, io la vedo così. Vorrei che fossero tutti responsabilizzati, ognuno per quel che deve fare dentro a una squadra, a una società, calciatori e non».
I miei maestri. «Con Cavasin e a prescindere da lui, come ruolo di secondo intendo, ho imparato tanto. E’ un’esperienza dovuta e importante. Che mi è servita tantissimo. Alberto, poi, mi ha trasmesso il fuoco, la passione, la carica. All’estero è stato diverso, quantomeno per il ruolo. In Ungheria l’allenatore è un po’ come in Inghilterra. Una sorta di manager. Ecco, da loro ho imparato il senso delle regole, della disciplina, del comportamento, del senso di gruppo e di quanto sia importante l’unione di intenti. I tecnici che mi hanno dato qualcosa soprattutto sono tre. Bolchi il carisma senza sprecare parole inutili. Essere autorevoli, cioè, senza troppi discorsi. Orrico mi ha trasmesso, almeno spero, l’autenticità, la spontaneità. L’essere veri e coraggiosi. Lucescu, invece, è stato un vero e proprio maestro di calcio».
L’Ungheria. «Ho dovuto risolvere un po’ di problemi e anche velocemente. Avevo appena cominciato un progetto importante che mi avrebbe portato presto alla guida della squadra campione di Ungheria, una squadra che la prossima stagione farà la Champions League. Un progetto di quelli che piacciono a me, a lungo termine. Poi mi ha chiamato la Spal e mi è venuta una gran voglia di mettermi alla prova».
La squadra. «La rosa deve avere determinate caratteristiche. Di personalità, altrimenti non vai da nessuna parte, ma anche mentali, fisiche, tecniche. Non sono, insomma, il tecnico che chiede il giocatore ics alla società. Mi piace, invece, indicare dei profili, il tipo di calciatore che mi serve in quel determinato ruolo».
Fuori dal calcio. «Mi piace tutto quello che è creativo. Ho appena visto una mostra stupenda a Budapest. Mi piacciono le arti in generale, la musica, le arti applicate».
Tratto da: Il Resto Del Carlino
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